Cathy Horyn ne scrive liberamente su The Cut ͏ ͏ ͏ ͏ ͏ ͏ ͏ ͏ ͏ ͏ ͏ ͏ ͏ ͏ ͏ ͏ ͏ ͏ ͏ ͏ ͏ ͏ ͏ ͏ ͏ ͏ ͏ ͏ ͏ ͏ ͏ ͏ ͏ ͏ ͏ ͏ ͏ ͏ ͏ ͏ ͏ ͏ ͏ ͏ ͏ ͏ ͏ ͏ ͏ ͏ ͏ ͏ ͏ ͏ ͏ ͏ ͏ ͏ ͏ ͏ ͏ ͏ ͏ ͏ ͏ ͏ ͏ ͏ ͏ ͏ ͏ ͏ ͏ ͏ ͏ ͏ ͏ ͏ ͏ ͏ ͏ ͏ ͏ ͏ ͏ ͏ ͏ ͏ ͏ ͏ ͏ ͏ ͏ ͏ ͏ ͏ ͏ ͏ ͏ ͏ ͏ ͏ ͏ ͏ ͏ ͏ ͏ ͏ ͏ ͏ ͏ ͏ ͏ ͏ ͏ ͏ ͏ ͏ ͏ ͏ ͏ ͏ ͏ ͏ ͏ ͏ ͏ ͏ ͏ ͏ ͏ ͏ ͏ ͏ ͏ ͏ ͏ ͏ ͏ ͏ ͏ ͏ ͏ ͏ ͏ ͏ ͏ ͏ ͏ ͏ ͏ ͏ ͏ ͏
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Sono Andrea Batilla. Faccio il consulente strategico per marchi del lusso, sono docente di progettazione e storia della moda contemporanea e autore di tre libri: Instant Moda, l'alfabeto della Moda e Come ti Vesti. E ho un profilo Instagram che ad oggi è seguito da più di 80.000 persone. In questa newsletter, che riceverai ogni martedì, troverai una riflessione scritta su quello che è successo nel mondo della moda, la lista degli eventi a cui partecipo, consigli di libri, film, mostre e documentari interessanti e un rimando dettagliato alla sezione dei corsi online sul nuovo sito. |
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#4 Il mondo della moda e la creatività come si relazionano?
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Cathy Horyn è una critica di moda che scrive su The Cut, la sezione dedicata a moda e lifestyle del celebre New York Magazine. Ex corrispondente moda del New York Times, è salita alle cronache per uno scontro aperto con Hedi Slimane ai tempi in cui era direttore creativo di Yves Saint Laurent che aveva smesso di invitarla alle sfilate dopo che lei aveva detto che senza Raf Simons Slimane non sarebbe mai esistito. Cosa peraltro verissima. A causa della sua penna intelligente ma estremamente pungente è stata bandita da moltissime sfilate e alla fine ha dovuto lasciare il New York Times per il molto meno importante New York Magazine. Ad oggi però Horyn è una delle critiche di moda più rispettabili e credibili al mondo, una che se ne frega di pestare i piedi perchè, giustamente, sente di avere una coscienza etica.
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Cathy Horyn traccia un quadro estremamente problematico di come il mondo della moda si relazioni all'idea di creatività
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Cathy Horyn
In un articolo del 12 Settembre, Horyn traccia un quadro estremamente problematico di come il mondo della moda si relazioni all’idea di creatività e in che modo si confronti con la scelta dei direttori creativi. Da un lungo periodo in cui a capo di brand grandi e piccoli venivano messe personalità fortissime che servivano da traino allo storytelling e alle vendite, oggi, secondo la critica del New York Magazine, la scelta ricade su designer facilmente controllabili, prodotti essi stessi della macchina dei grandi conglomerati del lusso e, di base, con poco o niente da dire. Dopo nomi da storia della moda come Margiela (da Hermès), McQueen (da Givenchy), Galliano (da Dior), Gaultier (anche lui da Hermès), Raf Simons (da Jil Sander e Calvin Klein), Riccardo Tisci (da Givenchy) e i più recenti Demna (da Balenciaga), Virgil Abloh (da Louis Vuitton) e Alessandro Michele (da Gucci), la ricerca si è improvvisamente spenta e i nuovi direttori creativi sono personaggi opachi che transitano senza lasciare traccia, ma senza neanche fare particolari danni, anzi, a volte costruendo successi. Così procedono nella totale mancanza di innovazione Dior con Maria Grazia Chiuri o Chanel con Virginie Viard, Chloè con Gabriela Hearst (che infatti sta per presentare la sua ultima collezione), Givenchy con Matthew Williams e, il più dispendioso di tutti, Pharell da Vuitton. Giusto per citarne alcuni.
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Instagram Post Andrea Batilla
Tutto questo succede perchè le immense macchine dei mega brand sono in realtà delle strutture finanziarie che devono produrre risultati a segno positivo ogni quattro mesi e non possono permettersi per nessun motivo di rallentare mai, neanche per un secondo, a rischio di crollare sui mercati azionari. Intervengono quindi CEO, direttori marketing e merchandiser a offrire ricette risolutive che non comprendano complicazioni creative ma che anzi spingano verso la semplificazione, verso quella che oggi si chiama quiet luxury ma che in realtà significa mancanza di idee. L’articolo di Horyn si chiude con un manager che ha ovviamente chiesto di rimanere anonimo che dice: “Se la moda fosse un business di aeroplani, ci sarebbero presto persone che muoiono. La maggior parte delle persone nella moda pensa di sapere di cosa stanno parlando ma in realtà non ne ha idea”.
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Il management della creatività è qualcosa di estremamente complesso
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Alessandro Michele al termine dello show Gucci fall/winter 2020. Foto Getty.
Style Magazine "La moda cambia volto. Ma sceglie per merito o popolarità?"
Il punto infatti è che il management della creatività è qualcosa di estremamente complesso a cui nessun master prepara. Il lato umano, personale, schizofrenico, ingestibile ma esplosivo, innovativo, rigenerante e necessario al cambiamento della personalità dei designer è qualcosa di poco controllabile e prevedibile ma è stato il motore della moda negli ultimi duecento anni. Ora si cerca di appiattire, effettuare un reset e sperare di poter superare il traguardo mitologico dei dieci miliardi di fatturato solo studiando delle complicate tabelle excel. È molto probabile che nel prossimo futuro vedremo una serie di schianti, anche di progetti importanti, ma è possibile che grazie a questi fallimenti si torni a pensare la moda non come un’industria da ingegneri ma come un posto da creativi entusiasmanti e liberi.
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